Il secondo giorno di Villeinblue è tutto culturale: Vicenza la fa da padrona al mattino con le visite a Villa Valmarana ai Nani e Villa Trissino Marzotto, e uno sguardo fugace all’emblema stesso della città lasciatoci da Andrea Palladio: Villa Capra detta la Rotonda.
Ed è uscito uno splendido sole caldo che illumina i nostri volti e ci scalda i corpi “inumiditi” dalla pioggia dei giorni scorsi. Io tiro fuori finalmente la reflex e il blocchetto degli appunti solo che questo mi complica la vita assai: nelle visite guidate dovrei al contempo ascoltare – osservare – annotare – fotografare. Missione difficile ma ce la faccio.
Fra una visita e l’altra cosa facciamo? Ci rilassiamo alle terme e mangiamo! Siamo sistemati in cinque hotel tra Abano e Montegrotto, tutti dotati di piscina e terme con la possibilità di praticare trattamenti curativi (fanghi, massaggi) convenzionati con il
Servizio sanitario nazionale. Una nuotatina nell’acqua tiepida non ce la leva nessuno perché molte strutture sono aperte dalle 8 alle 20, approfittiamo anche della cromoterapia, idromassaggio e percorso kneipp.
Villa Valmarana ai Nani
Villa Valmarana ai Nani prende il nome dalle diciassette statue di nani, tutte diverse, che ne ornano le mura esterne e il giardino. I nani, secondo la leggenda, vivevano nella villa per fare compagnia alla padrona di casa, la principessa nana: i suoi genitori vollero circondarla di persone di simile statura finché un bel principe di passaggio le fece realizzare la sua “condizione”. Lei fece una fine tragica gettandosi dalla torre e i diciassette sfortunati nani furono letteralmente pietrificati dal dolore.
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La costruzione è seicentesca ma con un’impronta settecentesca che le conferì l’architetto Francesco Muttoni, la suddivisione in tre parti (palazzina, foresteria, scuderia) per usi distinti è evidente nell’aspetto esterno e, all’interno, dal punto di vista artistico. In mezzo c’è uno splendido giardino all’italiana dove a maggio sbocciano rose e tanti altri fiori, arricchito con statue e alberi.
La palazzina vede Giambattista Tiepolo dare il meglio di sé, la foresteria è lasciata quasi del tutto in mano al figlio Giandomenico Tiepolo. Entrambi i maestri della pittura del Settecento ebbero la fortuna di vivere a lungo e lasciare un solco indelebile nella pittura, con opere commissionate dai governanti dell’epoca che ora fanno bella mostra di sé in palazzi e musei di tutta Europa.
Come ebbe modo di descriverli un grande amico della famiglia Valmarana, Guido Piovene, i Tiepolo si esprimono al meglio nel contesto di una dimora signorile che nei palazzi e nelle chiese, con opere più fruibili e vicine al gusto dell’epoca. Siamo incantati dai giochi di luce e colore, trompe-l’oeil e specchi, stanze riccamente ammobiliate e splendide vedute sulle colline circostanti.
Gli affreschi permettono al visitatore di seguire diversi percorsi ed effettuare un viaggio, anzi tanti viaggi diversi: nella storia e nella mitologia antica con richiami all’Iliade e all’Odissea, nella letteratura rinascimentale, nella società e nel paesaggio settecenteschi ritratti con tutte le classi sociali, in grado di contribuire allo sviluppo del territorio secondo un disegno di famiglia lungimirante che i Tiepolo hanno tradotto in immagini: celebrare una famiglia nobile e umana al tempo stesso, che si è mantenuta tale anche ai giorni nostri.
I Valmarana, le cui antiche origini risalgono a quasi mille anni fa, furono legati ad Andrea Palladio nel periodo di massima fama dell’architetto, quand’egli era impegnato a dare un’impronta nuova e moderna a Vicenza. Del Palladio si trova qui un rarissimo ritratto in una bella cornice lignea, rubato pochi anni fa ma per fortuna ritrovato pochi giorni dopo.
Anche Wolfgang Goethe la visitò durante il suo viaggio in Italia, e la descrisse nel libro omonimo. I discendenti dei Valmarana vivono tuttora in villa e ci conducono nella visita con grande competenza e cortesia. Alla fine ci portano sulla terrazza con vista panoramica dove ci offrono… un caffè?
No! A metà mattina facciamo subito un bel brindisi che per i miei amici “foresti” si traduce in una, anzi due semplici richieste: spritz o prosecco. Io invece desidero assaggiare la Garganega, il simbolo dell’enologia vicentina che si produce qui vicino nei bellissimi Colli Berici.
Eccomi accontentata a degustare un vino bianco profumato, particolare ma poco conosciuto oltre i confini della regione Veneto. Un vero peccato, spero che i Valmarana lo propongano loro stessi ai prossimi visitatori.
Scendiamo in pianura a piedi e, prima di riprendere il pulmino, fotografiamo la Rotonda che anche da lontano esprime una grande bellezza e perfezione.
Le due ville, appartenenti entrambe alla famiglia Valmarana, distano poche centinaia di metri e sono aperte al pubblico per le visite.
Villa Trissino Marzotto
Villa Trissino Marzotto ha una storia simile a Villa Valmarana ma con un’impronta totalmente diversa: fu costruita da una nobile e antica famiglia e crebbe nel Settecento con l’apporto architettonico di Francesco Muttoni; oggi però appartiene a un’altra famiglia illustre, per Vicenza, per l’Italia, per il settore tessile e non solo. Il conte Giannino Marzotto nel secondo dopoguerra l’ha riportata ai fasti e all’antico splendore, dopo anni assai trascurati.
Anch’essa si trova su una collina dove nel Medioevo sorgeva una roccaforte, tanto che dell’edificio si distinguono due corpi: villa inferiore e superiore. L’attuale distribuzione degli spazi “favorisce” gli esterni con delle viste notevoli a monte e a valle, un sistema di terrazze e giardini pensili che aumentano la prospettiva all’interno e all’esterno.
Il grande spazio disponibile è distribuito tra un giardino curatissimo, un parco con alberi secolari ornato da un centinaio di statue, frutteti e coltivazioni.
Non c’è da meravigliarsi se questi sono annoverati tra i Grandi Giardini Italiani, e la villa appartiene all’associazione delle Dimore Storiche.
Gli interni della villa inferiore sono ricercati ma non sfarzosi, con gli arredi, i cimeli storici e diversi dipinti che raccontano la Vicenza del Settecento senza troppo ossequiare, com’era consuetudine, Venezia madre di tutte le ricchezze.
Forse esse erano già così offuscate (in attesa del crollo finale del 1797) che i Trissino preferirono celebrare l’operosità del proprio territorio. I paesaggi aprono la visuale all’esterno come i pittori dell’Ottocento faranno sempre più spesso, con il già citato trompe-l’oeil.
Il tesoro più prezioso sta nell’ultima sala dove si trova la maggiore collezione al mondo di arazzi fiamminghi, una cosa che toglie il fiato per la ricchezza dei disegni, la preziosità dei materiali utilizzati e i due grandissimi artisti del Cinquecento, Giulio Romano e Raffaello, che li hanno progettati e si riconoscono per i temi bucolici, i putti, la prospettiva particolarmente ben riuscita.
Per riunire la collezione che si era dispersa tra Venezia, la Spagna e altri luoghi ci sono voluti anni, ma il risultato è straordinario e faccio una gran fatica ad uscire da qui, dopo avere scattato un sacco di foto!!
Al piano superiore ampi spazi possono essere concessi in uso per feste, eventi, sfilate, noi ammiriamo una collezione di quadri operanti a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento, soprattutto macchiaioli, piccola in termini quantitativi ma eccezionale perché tratta i temi sociali e del lavoro più che la bellezza in sé, i paesaggi, le nature morte come fecero gli Impressionisti, i contemporanei d’oltralpe.
I valori della mia regione sono stati raccolti e raccontati dai padroni di questa splendida dimora. Gli stessi valori del Veneto d’oggi si vedono nella pianura sottostante, è la ricchezza economica del Veneto moderno cresciuto in poco più di vent’anni fino a produrre, nella sola provincia di Vicenza, tanto quanto tutta la Grecia.
Tali considerazioni sono attuali ma anche venate per me da un po’ di tristezza sia per l’attuale situazione critica dell’economia, sia perché lo scempio di capannoni industriali e fabbriche (anche molto inquinanti e impattanti sull’ambiente) si è perpetrato a pochi chilometri dalle splendide ville venete, nel completo silenzio del Veneto della cultura che, per denaro, ha sacrificato la sua storia e la sua bellezza.
Al di là di queste considerazioni devo ammettere che siamo fortunati a vedere, anzi goderci questo posto magnifico guidati da chi lo vive e lo conosce benissimo.
Proprio qui, nella taverna della villa, ci viene servito un leggero pranzo a buffet (!!!) che inizia con baccalà e polenta, salsa pearada, pane fatto in casa e affettati, seguiti da risotto agli asparagi e bollito misto, contorni, dolce e caffè.
Una cosuccia che dura ben più del previsto sia perché proprio non possiamo lasciare nulla, sia per il consueto corredo di chiacchiere e brindisi. Anche stavolta non ci vengono serviti i vini dei Colli Berici ma le eccellenze enologiche di varie parti d’Italia. Pazienza, lo dico ai camerieri sperando che in futuro propongano una carta dei vini più centrata sul territorio.