Roma è stata meta di turismo religioso fin dalla nascita del Cristianesimo, ma per i romani, dal ‘700 ad oggi, il pellegrinaggio per eccellenza è quello dal Santuario del Divino Amore.
Un pellegrinaggio e una devozione nata in seguito alla notizia di un fatto miracoloso avvenuto nella primavera del 1740 alle porte di Roma, per la precisione in zona di Castel di Leva.

Dove si trova il Santuario del Divino Amore
Il Santuario del Divino Amore si trova appena fuori del Grande Raccordo Anulare, sulla via Ardeatina (Via del Santuario, 10) ad una quindicina di chilometri dal centro di Roma. Giovanni Paolo II in occasione della sua prima visita del maggio 1979, lo ha definito il “Santuario Mariano di Roma” .

Il pellegrinaggio al Divino Amore
Nel corso dei secoli il Santuario del Divino Amore ha subito una serie di cambiamenti, ma i pellegrinaggi non si sono mai fermati (giusto ora, forzatamente per il Covid) . Certo che il traffico della via Ardeatina ha messo a dura prova la buona volontà dei fedeli, però il pellegrinaggio al Divino Amore è sempre il pellegrinaggio al Divino Amore che i più motivati lo compiono anche a piedi scalzi.
Per tradizione il pellegrinaggio top è quello che si svolge la notte del sabato, da quello subito dopo Pasqua all’ultimo di ottobre.
La partenza è a mezzanotte da Piazza di Porta Capena. Da qui ha inizio il cammino, fatto di passi, preghiere e canti. Tutti insieme per circa 5 ore, l’arrivo è previsto per poter assistere alla prima Santa Messa della domenica, che si svolge nel nuovo santuario alle 5 del mattino.

Io miei ricordi del Santuario del Divino Amore
Io non ho mai partecipato al pellegrinaggio, però una volta ci sono andata a piedi. È stato nel corso di una maratona, la Roma-Castel Gandolfo, il Divino Amore rappresentava la tappa della mezza maratona, avrei potuto fermarmi, ma quella ho proseguito fino alla tappa conclusiva, però ho chiuso con le maratone. Questa però è tutta un’altra storia.
Mi ricordo la prima volta che sono andata al Santuario del Divino Amore, ero con mio nonno: aveva comprato un’auto nuova e – come tradizione – ha voluto farla benedire. Ero una bambina e quel giorno l’ho vissuto come una giornata speciale. L’attenzione era più per la macchina di nonno che per il santuario.

Dopo quella volta ci sono tornata spesso, perché ai miei nonni piaceva andare a messa al Divino Amore, che da casa nostra dista circa un quarto d’ora. La messa all’epoca era nella chiesetta antica, quella moderna ancora non era stata costruita. Il mio ricordo di bambina non era dei migliori, tutti quegli ex voto che tappezzavano le pareti mi davano un senso di angoscia. Trovavo tutto un po’ inquietante. Però ero incuriosita e cercavo di scoprire le storie che c’erano dietro quegli oggetti segnati dal tempo.

Tra le tante storie anche una molto bella, che ho scoperto solo recentemente. Quella del dirigibile Italia, di Nobile e del suo equipaggio disperso al Polo Nord, quelli della Tenda Rossa. Una storia ricordata dalla cuffia del radiotelegrafista Biagi che donata alla Madonna del Divino Amore che “salvò da terribile morte i naufraghi caduti sui ghiacci del polo dal dirigibile della disgraziata spedizione Nobile”.
Il Miracolo della Madonna del Divino Amore
La storia del miracolo della Madonna del Divino Amore narra di un pellegrino che era in viaggio per raggiungere la Basilica di San Pietro. L’uomo da un certo puntò smarrì la strada, a quel tempo la campagna romana non era certo un luogo ospitale e tranquillo, la città era lontana e molte zone dell’agro romano erano poco sicure, selvagge e spesso popolate da banditi.
Proprio in quegli anni il filosofo francese Charles De Brosses in una lettera lo descrive così
e poi ecco la vera campagna di Roma che ci si presenta. Lo sapete cos’è questa campagna famosa? E’ una quantità prodigiosa e continua di piccole colline sterili, incolte, assolutamente deserte, tristi e orribili al massimo grado. Bisognava che Romolo fosse ubriaco quando decise di fondare una città in un posto così brutto. (Charles De Brosses)
L’uomo, già spaventato per aver perso la strada, fu aggredito da una gruppo di cani randagi inferociti.
Pensava di essere spacciato, quando ad un certo punto vide l’immagine della Madonna con il Bambino dipinta sui resti di una delle torri del Castello del Leone (poi diventato Castel di Leva) e invocò ad alta voce il suo aiuto. Un aiuto che, secondo la fede, non tardò ad arrivare, perché i cani improvvisamente si calmarono e si allontanarono senza un motivo apparente.

Tutto quel clamore attirò l’attenzione di alcuni pastori che accorsero sul posto in aiuto al malcapitato. Per l’uomo non c’erano dubbi: era stata la Madonna a salvarlo. Raccontò tutto ai pastori che, dopo aver ascoltato il suo racconto, gli indicarono la via per Roma. Felice per essersi salvato, e sicuro di essere stato miracolato, l’uomo riprese il suo cammino e lungo la strada continuò a raccontare a tutti quelli che incontrava ciò che gli era accaduto.

Un fatto del genere non aveva bisogno di telegiornali, il passaparola all’epoca si dimostrò altrettanto efficace e nel giro di breve tempo la notizia del miracolo si circolò prima tra gli abitanti della zona, per arrivare anche a Roma. Il risultato fu l’inizio di un fervore popolare che diede subito vita ad un pellegrinaggio spontaneo per raggiungere e pregare alla sul luogo in cui era avvenuto il miracolo. Pregare, ma anche chiedere una grazia.

Furono così tanti che la torre e l’immagine sacra divennero meta di uno straordinario pellegrinaggio, al punto che un cronista dell’epoca racconta che “non si distingueva più il giorno dalla notte e continuamente era un accorrere di pellegrini più devoti e numerosi che ricevevano numerose grazie”.

Non solo i pellegrini si interessarono all’immagine sacra, ma anche il Vicariato di Roma che, come accade in questi casi, deve fare luce sull’origine di miracoli apparizioni. Fu così che la decisione fu quella di rimuovere l’immagine dalla torre e trasferirla all’interno della chiesa “S.Maria ad Magos”, alla Falconiana. Un paio di chilometri più lontano.

Un trasferimento che ebbe due conseguenze. Come prima cosa il distacco dal muro, fatto forse in modo un po’ frettoloso, ha provocato dei danni all’immagine e poi il trasferimento dell’immagine ha creato una sorta di incidente diplomatico.
Il proprietario di Castel di Leva era il Conservatorio di Santa Caterina della Rota ai Funari, mentre la chiesa di Falcognana apparteneva al Capitolo di San Giovanni in Laterano. Un affare non da poco che coinvolgeva non solo l’immagine venerata dai fedeli, ma anche le offerte che questi lasciavano alla Vergine.

Alla fine dovette intervenire addirittura la Sacra Rota che l’8 marzo 1743 pronunciò la sua sentenza definitiva: l’immagine apparteneva al Conservatorio di Santa Caterina, quanto alle offerte dei pellegrini, queste sarebbero state utilizzate per la costruzione di una chiesa. Un edificio necessario non solo a custodire l’icona, ma anche per accogliere i fedeli che si recavano in pellegrinaggio anche in riconoscimento delle grazie ricevute.

I lavori furono affidati all’architetto Filippo Raguzzini, che a Roma aveva già realizzato diversi lavori, i più importanti sono l’ospedale San Gallicano, la chiesa di San Sisto Vecchio, la chiesa della Madonna della Quercia e la chiesa di San Filippo Neri. Sua anche la la sistemazione urbanistica di piazza di Sant’Ignazio e pare ci sia la sua mano anche nei lavori per il completamento della scalinata di Trinità dei Monti. Una sorta di archi-star dell’epoca, il che ci fa capire anche l’importanza che veniva data all’edificazione di quella chiesetta in mezzo alla Campagna Romana.
I lavori furono terminati nel giro di un anno e, finalmente, il 19 aprile del 1745, era il lunedì di Pasqua, l’immagine sacra tornò a Castel di Leva. Erano trascorsi 5 anni dal miracolo e la Madonna arrivò nella sua nuova chiesa costruita non lontano dalla torre del miracolo. Fu un arrivo in pompa magna a bordo di un carro scortata da una gran folla proveniente da Roma e dai vicini Castelli Romani, di gonfaloni e di confraternite.

E non è tutto, papa Benedetto XIV concesse l’indulgenza plenaria a tutti coloro che avrebbero reso omaggio alla Madonna nel corso dell’intera settimana.
In occasione dell’anno santo del 1750 il cardinal Carlo Rezzonico, futuro papa Clemente XIII, consacrò il Santuario al nome del Divino Amore.

Nel frattempo il numero di pellegrini non accennava a diminuire, anche se era concentrato soprattutto in alcuni periodi dell’anno, come la Pentecoste. Tanti pellegrini, tante preghiere e tante grazie ricevute che si concretizzavano con doni al santuario. Un piccolo tesoro fatto di cuori d’argento e altri preziosi che potevano non poteva non far gola ai banditi.
Fu così che nel 1761, dopo un importante furto ai danni del santuario, fu presa la decisione di portare al sicuro tutti i doni e gli ex voto rimasti offerti dai fedeli.

Nel 1840, in occasione delle celebrazioni per il centenario del miracolo di Castel di Leva, il santuario fu oggetto di un importante restauro, da Roma furono portati arredi sacri e stoffe preziose e fu addirittura risistemata la via Ardeatina. Alle celebrazioni partecipò anche il Re del Portogallo e anche quell’anno, come avvenuto per l’inaugurazione del santuario, i festeggiamenti durarono una settimana.
Nell’800 però il santuario andò incontro ad un progressivo declino. Prima con la presenza di bancarelle che vendevano porchetta, di pecorino, di fave e di vino, proprio a ridosso dell’edificio religioso. Poi dopo l’unità d’Italia arrivarono gli espropri, da parte del governo italiano, delle proprietà della Chiesa. La tenuta di Castel di Leva fu affittata per mantenere le educande del Conservatorio di S. Caterina.

Il santuario cambiò volto. Vicino al campanile fu allestita una stalla, accanto alla sagrestia trovò posto una rimessa, un forno, un pollaio e un porcile. Nel cortile vennero ammassati attrezzi agricoli, mentre negli edifici davanti al Santuario fu aperta un’osteria e una dispensa per i contadini e lungo la salita c’era una lunga fila di bancarelle e baracche.
Ad attrarre l’attenzione sulla situazione di degrado in cui versava il santuario fu un nuovo furto, avvenuto nel giugno 1930, durante il quale furono portati via tutti i preziosi offerti alla Madonna.

Il Vicariato di Roma quindi di provvedere: il colle fu restituito al Santuario con l’allontanamento di baracche ed osterie e la nomina, nel 1932, di un rettore, con l’obbligo di risiedere sul posto. Il primo fu don Umberto Terenzi, a lui si deve l’istituzione della Congregazione delle Figlie della Madonna del Divino Amore. Don Terenzi è sepolto al santuario del divino Amore nella Cripta dell’addolorata.

Intanto continuavano i pellegrinaggi che nel frattempo avevano preso la strada della gita fuori-porta, una scampagnata tra il sacro e il profano.

Con l’arrivo della guerra la Chiesa di Roma pensa che sia opportuno mettere in salvo l’immagine della Madonna, che viene così portata a Roma, prima a S. Lorenzo in Lucina poi a S. Ignazio. Il 4 giugno del 1944 il popolo romano si reca a S. Ignazio per chiedere alla Madonna di salvare la città, promettendo alla madonna di realizzare un nuovo santuario. Promessa che fu mantenuta, anche se solo nel 1999. Era dovuto, perché alla preghiera, con l’immediata entrata delle truppe americane in città, fece seguito la liberazione di Roma. Ci è voluto tempo per il nuovo santuario, ma la chiesa moderna è in grado di ospitare 1500 fedeli.

L’11 giugno papa Pio XII arrivò a S. Ignazio per ringraziare la Madonna, conferendole il titolo di “Salvatrice dell’Urbe”.
Per il santuario del Divino Amore inizia così un nuovo periodo di fervore religioso e di devozione.

Il 12 settembre dello stesso anno l’immagine viene portata nuovamente al Santuario, ancora una volta un ritorno in grande, accompagnata da una folla acclamante

Inizia così la storia più moderna del Divino Amore. Subito dopo il dopoguerra iniziarono nuovamente i pellegrinaggi dei romani verso il santuario del Divino Amore. Poi c’è il nuovo santuario, inaugurato nel 1999, alla presenza di papa Giovanni Paolo II. La vecchia chiesa era diventata ormai troppo piccola per i fedeli, che spesso non trovano posto all’interno, ma erano costretti a seguire la funzione dall’esterno e serviva una chiesa più grande, anche per onorare la promessa fatta dai romani alla Madonna durante la guerra.

Una delle caratteristiche più belle del nuovo santuario è la presenza di grandi vetrate realizzate con la tecnica antica di vetro soffiato che sostituiscono le mura con immagini simboliche colorate che rimandano alle figure di Cristo e della Madonna.

Una vera esplosione di colori, l’altare e il presbiterio sono realizzati con marmo bianco, un contrasto di colori che colpisce il visitatore.
Il santuario del Divino Amore va ben oltre le due chiese principali, ma un’insieme di tanti spazi:
La chiesa a cielo aperto

Tra questi la Chiesa a cielo aperto che si trova sulla collina, poco lontano dalla torre del miracolo del 1740. Come chiesa è piuttosto insolita, come tetto ha la volta celeste e come pavimento la terra. È dedicata al primo martire gitano il Beato Zeffirino.
La cripta dell’Addolorata

La “Cripta dell’Addolorata, del 1947, ricavata dai resti di una cisterna. Tra gli elementi interessanti da vedere ci sono il mosaico raffigurante “Cristo Buon Pastore”, un bel pavimento cosmatesco, il gruppo scultoreo con la Madonna che asciuga il sangue di Gesù, la riproduzione del primo miracolo e del Voto di Roma e poi la tomba di don Don Terenzi
Grotta di Lourdes

Una piccola grotta naturale in ricordo dell’apparizione della Madonna a Lourdes
Visite guidate
Come avrete capito il santuario della Madonna del Divino Amora ha tanto da raccontare, anche per questo motivo vengono organizzate visite guidate che possono essere prenotate al numero 06713518
Casa del Pellegrino
Tra i compiti dei santuari non c’è solo quello occuparsi dello spirito del pellegrino, ma anche dei suoi bisogni terreni. Al Divino Amore c’è la Casa del Pellegrino, un accogliente hotel 3 stelle dove il pellegrino può non solo fermarsi a dormire e mangiare, ma anche partecipare ad incontri religiosi ed esercizi spirituali.
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