Vigna Barberini, non è più una terrazza del Palatino dalla quale ammirare uno di più bei panorami di Roma con vista sul Colosseo, era anche il nome dato dalla nobile famiglia romana al loro possedimento agricolo che oggi torna ad ospitare un vero vigneto di “uva pantastisca“

Perché un vigneto sul Palatino
Non piantare, o Varo, nessun albero prima della sacra vite [Orazio]
Si tratta di un’iniziativa voluta del Parco del Colosseo, una sorta di progetto di eno-archeologia, che rientra nel programma “PArCo Green” per la valorizzazione dell’ambiente monumentale e paesaggistico del parco.
Io stesso da contadino pianterò tenere viti a tempo opportuno [Tibullo]
Anche con il tempo se ne è perso il ricordo, il fatto che a Roma si coltivassero viti è testimoniato dagli scrittori antichi, da Orazio a Plinio. Per non parlare poi del fatto che a Roma c’era anche un dio, Bacco, al quale era dedicato il vino. Da qui l’idea di un piccolo vigneto sul Palatino, oggi l’inaugurazione, un invito che accolto con molto piacere, un po’ per curiosità e un po’ perché è stata anche un’occasione per tornare al Palatino.

Partner del progetto Cincinnato di Cori
Il progetto si avvale della collaborazione l’Azienda vitivinicola Cincinnato di Cori, sui Monti Lepini, che vanta oltre 70 anni di attività e che coltiva – con grande attenzione a quella che è la sostenibilità ambientale- vini autoctoni come il Bellone, un antichissimo vitigno autoctono che lo storico Plinio il Vecchio chiamava “uva pantastica“.

Quindi direi un’azienda che ha tutte le carte in regola per essere coinvolta in questo bel progetto anche perché qui sul Palatino sono state piante proprio barbatelle di Bellone.
Da dove potremmo meglio cominciare se non dalla vite, rispetto alla quale L’Italia ha una supremazia così incontestata [Plinio il Vecchio]
Per ora abbiamo il vigneto, per il vino però bisognerà aspettare due anni.

Importante dire che la zona scelta per il vigneto ha un ampio strato di terra di riporto, proveniente dagli scavi del tempio tempio di Eliogabalo, questo significa che le radici non danneggeranno in alcun modo i resti archeologici, in ogni caso prima di piantare le barbatelle sono stati fatti dei carotaggi alla presenza di un archeologo.
Qui le viti non sono da sole, vicino ci sono anche piante di ulivo e di fico, alberi sacri per i romani che fanno parte di quella che era l’etica agricola dei romani.

Ma perché proprio il Bellone?
La scelta di questo vitigno è legata sia motivi tecnici e pratici, si a motivi culturali. Cori faceva parte del Latium novum, come lo definiva Orazio, un territorio che era stato scoperto dai Romani subito dopo i primi imperatori, dove coloro che hanno il denaro vengono a fare l’otium. Qui ci si poteva dare alle arti bucoliche. Un territorio che Orazio definisce come una delle meraviglie del mondo con vigne che degradano verso il mare. Ecco quel territorio è proprio quello di Cori.
Va poi ricordato che la coltivazione dell’uva e la presenza del vino spesso li ritroviamo anche in numerosi resti archeologici anche loro a testimoniare la grande importanza nella Roma antica delle produzioni legate al vino.
Il vino nella Roma del ‘500

Lasciamo i Romani e andiamo avanti nel tempo, vediamo che il vino a Roma era sempre molto presente, in città si continuava a produrre vino e questo lo possiamo scoprire anche dalla toponomastica. Roma era piena di vigne e lo è stato per secoli, anche se alla fine del 500 Sante Lancieri, un bottigliere di Papa Paolo III Farnese, lamentava il fatto che sul Palatino molte Vigne si sono rovinate e nomina altri Colli e altre zone.
Guarda la neve che imbianca tutto il Soratte e gli alberi che gemono al suo peso, i fiumi rappresi nella morsa del gelo. Sciogli questo freddo, Taliarco, e aggiungi legna al focolare; poi versa vinovecchio da un’anfora sabina. Lascia il resto agli dei. [Orazio]
Anche se si era persa la viticoltura sul Palatino sappiamo che non lontano c’erano almeno due vigne importanti: la Vigna Antoniana, a Caracalla, che era di proprietà dei Gesuiti. La vigna era così importante che lo stesso Ignazio di Loyola. il padre della regola dei Gesuiti, sentì l’esigenza di fare una seconda regola su come comportarsi alla vigna. Questa era la vigna che il popolo romano chiamava “la vigna dei Frati” poi c’era vigna Torlonia, ma quella era una vigna che possiamo definire privata, serviva solo a produrre il vino per la famiglia, quindi solo per uso interno.
Le osterie romane compravano il vino ai “Castelli” un territorio che noi oggi leghiamo a quello dove si produce il vino Frascati, ma all’epoca si trattava di un ambiente estremamente ampio che a livello culturale arrivava fino a Cori.
Meravigliosa è la natura delle viti di tirare a sé il sapore altrui [Plinio]
Ecco allora che in questo vigneto non si coltivano solo viti, ma anche cultura, la cultura del vino e di quello che rappresenta per la storia di Roma, una storia che prosegue fino ad oggi.
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