Era arrivato il momento della nostra notte nel deserto del Marocco.
Lasciata Rissani attorno a noi il paesaggio di faceva sempre più, brullo. Pian piano stavamo raggiungendo Erg Chebbi.
Ovvero l’unico angolo del Marocco dove si trova il deserto sabbioso con le sue dune dorate, insomma il vero Sahara. Prima però abbiamo incontrato il deserto nero, il cui colore è dato dalle pietre disseminate nel terreno.
Un paesaggio arido e selvaggio, la tentazione di fermarci raccogliere qualche pietra e scattare alcune foto era troppo forte, così non abbiamo resistito. Moamed ha voluto farsi fotografare in posa da pascià circondato da alcune delle ragazze del gruppo.
Finalmente Merzuga. Qui abbiamo lasciato il nostro autista a guardia del pulmino, dopo quello che era accaduto gli abbiamo fatto mille raccomandazioni.
Poi abbiamo preparato lo zainetto con l’occorrente per trascorrere la notte e in sella ai dromedari ci siamo avviati alla volta del campo nel deserto. Non appena la carovana si è messa in marcia, Moamed (ma lo stesso ha fatto la guida di un altro gruppo) mi ha detto che lui sarebbe rimasto all’hotel. Ma come, la guida del deserto non viene nel deserto?!? Per quanto la risposta possa sembrare assurda, NO. Comunque non eravamo abbandonati a noi stessi, con noi c’erano i beduini.

Il viaggio nel deserto è durato circa un’ora e mezza. All’inzio eravamo tutti affascinati, la maggior parte di noi non era mai salito su un dromedario, neppure io.
Avevo sempre pensato che poteva essere scomodo, ma non mi ero neanche avvicinata alla verità. Tanto è vero che questa è una di quelle esperienza che sta di diritto nella mia lista delle 100 cose da fare prima di morire. Sempre se non muoio prima! Un’ora e mezza di dromedario non è scomodo: è una vera tortura!
Finalmente abbiamo finalmente capito perché i Re Magi nel presepe non salgono in groppa ai cammelli, a vanno a piedi tirandolesi dietro!
Quando il dromedario scendeva dalle ripide dune temevamo di cadere, ci faceva male ogni parte del corpo e poi avevamo lo spettacolo (si fa per dire) dei bisogni corporali del dromedario di fronte. Un po’ ho esagerato, ma poco.
Bisogna comunque ammettere che una volta scesi dagli ondeggianti quadrupedi si può dire che è stata una bella esperienza, ma solo quando si sta con i piedi ben saldi a terra. Ad essere spettacolare è soprattutto il colore del deserto che pian piano cambia tingendosi di rosso con l’arrivo della sera.
Una volta arrivati al campo ci siamo sistemati nelle tende, abbiamo raggiunto la duna più alta per vedere il tramonto, poi siamo tornati indietro.
Il freddo iniziava a farsi sentire e per riscaldarci ci siamo seduti accanto al fuoco bevendo te all’assenzio.
E sempre vicino al fuoco abbiamo atteso la cena. Siamo stati i primi ad essere serviti, pare per intercessione di una delle ragazze che si sarebbe fatta amica il cuoco.
Che cosa si mangia a cena nel deserto? Ma soprattutto come si mangia… Ognuno di noi aveva una forchetta, ma a disposizione avevamo un solo piattone, così ci siamo tuffati cercando di pescare dei pezzi di pollo tra cous cous e verdure.
Dopo cena, rigorosamente intorno al fuoco, abbiamo atteso l’ora di andare a dormire, mentre i cammellieri ci hanno intrattenuto con musica berbera.
A decretare l’ora di andare a letto è stata la fine della legna.
Stendersi sui materassi a nostra disposizione non significava esattamente dormire. Questo è un lusso che si sono potuti permettere solo coloro che avevano dei sacchi a pelo veramente pesanti, gli altri hanno passato la notte in bianco battendo i denti.
Io che di esperienze in tenda al gelo ne avevo già passate due, una ad Asiago e una in Messico a 4mila metri di altezza, prima di partire mi ero comprata un super sacco a pelo, che assicurava confort a -10, ma adatto anche a temperature decisamente inferiori (-36). L’ho pagato più di una stanza d’albergo, ma non me ne sono pentita: ho dormito tutta la notte. Ed era esattamente quello che volevo. Così la mattina quando mi sono svegliata per vedere l’alba nel deserto ero perfettamente riposata.
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